Quando nel 1526, Giulia, damigella quattordicenne figlia dei nobili padani Ludovico Gonzaga e Francesca Fieschi, partì dalla natia Gazzuolo alla volta della lontana Fondi, sapeva di andare sposa al quarantenne e menomato nel fisico Vespasiano Colonna, conte del luogo, vedovo e già padre di una figlia maggiorenne. Non poteva immaginare che, nello spazio di due anni appena, sarebbe rimasta la vedova giovanissima di un marito da cui non aveva avuto prole. Né poteva sapere che da allora sarebbe stata la Contessa di Fondi per antonomasia, lustro stupendo della storia locale con risvolti da favola di sapore antico. Letteratura e ritrattistica del XVI sec.- tra questa spicca la tela dipinta da Frà Sebastiano del Piombo- tramandano la gran dama di calma e limpida bellezza: “dea” la celebrò l’Ariosto. Spirito aperto e libero, superiore; mente volta agli allettanti pascoli delle lettere e conquistata dai tormentosi problemi delle correnti religiose del suo tempo. Il riformatore spagnolo Juan Valdès scrisse per lei l’opera “L’alfabeto cristiano”. Del suo palazzo di Fondi fece ” la piccola Atene” italiana: prelati, letterati ed artisti si facevano un dovere di formarle corteggio qui. Ebbe cara l’amicizia con Vittoria Colonna. Attraversò il suo secolo corrotto senza bruciarsi, tutta presa nel sublimarsi nello spirito e nell’intelletto. Si vuole non si lasciasse lambire da assedi amorosi, tra i quali quelli strettissimi di Gandolfo Porrino, poeta e suo segretario e del cardinale laico Ippolito de’ Medici. Il caustico Aretino non osò dire o scrivere alcunché di lei. La contessa Giulia non poteva in seguito immaginare di essere la mancata vittima illustre della ferocissima e devastatrice incursione subita da Fondi il 9 agosto 1534, pare proprio a causa sua. Guidati dall’ammiraglio Khair ed-Din, corsari ottomani intendevano rapirla per farne dono di lusso al sultano Solimano II. Intorno alla fuga della contessa fiorì una leggenda. Anche se poi la morte la colse a 53 anni in un convento di Napoli, dove era riparata dagli affanni familiari e dai sospetti terribili del Sant’Uffizio, nel suo palazzo fondano lasciò aleggiante ed incancellabile la propria figura, fascinosa di bellezza inarrivabile e di nobiltà illuminata, oltre che di leggenda che dura vivissima da ben quattro secoli e mezzo.